Racconto di una donna... l'anoressia ha lasciato il segno., (presa da un sito web dedicato all'anoressia)

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eri93
icon13  view post Posted on 6/5/2006, 14:09




quì c'è una storia ke ho trovato... leggetela... vi darà una lezione di vita...
Sono cresciuta in una famiglia come tante altre…
Venuta al mondo 22 anni fa, seconda figlia di un matrimonio finito prima di iniziare… Educata con ferrea disciplina, il valore “princeps” che mi è stato passato è quello del DOVERE. Sin da piccolissima mi è stato insegnato a lavorare sempre e comunque, sodo, incessantemente, a sfruttare ogni risorsa ed ogni energia per produrre, per essere sempre “la migliore”, la “numero uno”, “la prima della classe”… Coerentemente a quest’insegnamento, a 5 anni sono andata in prima elementare... E l’ingresso a scuola ha sancito, senza che nessuno se ne accorgesse, il mio ingresso nel tunnel dei disordini alimentari.
Scuola è sempre stato sinonimo di “sfida”, di impegno ferreo, superamento dei propri limiti, della sopportazione, e del senso di colpa per ogni traguardo non raggiunto. Iniziato il cammino scolastico, è finito per me il tempo dei giochi, delle vacanze, della TV, dei cartoni animati…
Per il mio 5 compleanno, nessuna bambola, nessun giocattolo… I miei primi libri… 3 libri interattivi con le fiabe, da riassumere per iscritto con le scadenze fissate… Fin da 5 anni mi sono state imposte delle date entro cui consegnare i compiti, da brava, diligente, ineccepibile bambina modello… La scuola, i compiti extra assegnati da mio padre persino in estate… In pochi anni tutto questo è divenuto il mio calvario. Calvario che si è dipanato attraverso gli anni delle liti familiari, attraverso lo spettro della separazione dei miei, giunta finalmente come una liberazione appena due anni fa, dopo 18 anni di sofferenza.
Ancora bambina il mio rapporto con mia madre subì una paralizzante inversione di ruolo, e senza aver il tempo di pensarci, mi trovai catapultata nel ruolo di mamma di mia madre.
Mamma di una mamma che la notte veniva a rifugiarsi a piangere tra le mie braccia; mamma che di lì a poco iniziò ad imbottirsi di farmaci, senza nessun controllo medico, senza alcun criterio di dosaggi… Quando mio padre scoprì mia madre svuotare il contenuto di una intero flacone di Lexotan in due dita d’acqua, ero presente anch’io. Lei continuava a ripetere meccanicamente quel gesto, agitando il flacone per far scendere le gocce più velocemente, senza contarle, spersonalizzata, in lacrime. Lui le si avventò contro, le strappò tutto dalle mani, lanciandolo per terra. Poi si voltò verso di me, e mi consegnò “ufficialmente” il compito di gestire quei farmaci. Non ci pensò su due volte : io ero grande abbastanza da capire quando era veramente indispensabile lasciarle prendere quelle gocce, e quando invece potevo “sfidare” il suo bisogno di calmanti. Peccato avessi appena 12 anni ! Da quel momento il mio rapporto con mia madre divenne ambiguo, conflittuale, a tratti fatto d’amore, a tratti d’ostilità. Io non ero più la figlia, né la mamma : ero l’aguzzino che decideva del suo benessere.

Il naso fuori di casa.
A 14 anni la mia prima storia d’amore… Ero una bambina. La bambina in me urlava perché qualcuno le lasciasse lo spazio di vivere, ingenuamente, come una bambina, malgrado a quella bambina fosse stato insegnato da molti anni ormai ad essere adulta, forte, matura, basata…
La bambina si dimenava, eppure a 14 anni trovò al suo fianco un ragazzo molto più grande, immerso ormai nella vita adulta. E la bambina vestita da adulta, si tuffò ciecamente dentro l’ennesimo mondo adulto, lasciandosi alle spalle la vita da teen ager, i coetanei, i cartoni animati, la dorata ingenuità che ancora a quell’età ci si può concedere. Una storia d’amore durata per tutta la mia adolescenza, sino ai 18 anni. Dibattendomi tra la mia voglia di essere bambina, ed il bisogno di essere grande per non deludere tutti quelli che da me si aspettavano la forza di un’adulta.
Strano controsenso; eppure forse da quella storia, da quel ragazzo 5 anni più grande di me, non cercavo altro che il contenimento e la protezione per poter vivere la mia età. Impossibile.
Così a metà della storia, compresi di essere ad un bivio : 16 anni , non più piccola abbastanza da tornare sui miei passi, non ancora grande abbastanza per affrontarmi da sola.
Strada senza uscita. Vicolo cieco.
Nulla era sotto il mio controllo, malgrado il mio bisogno di essere autonoma, e al tempo stesso protetta alle spalle da una persona forte, grande, adulta, che mi accompagnasse sul mio sentiero, incoraggiandomi a scoprire chi fossi veramente. Incoraggiandomi a far vivere la bambina soffocata e vestita da adulta sin dall’infanzia. Cercavo me stessa, e trovavo solo l’ombra un po’ goffa di una bambina che ha indosso le scarpe con i tacchi della mamma e continua ad inciampare di qui e di lì…

Cercando, cercando….
Cercavo me stessa attraverso i miei coetanei, cercavo me stessa attraverso le persone che amavo, attraverso la guida delle persone più forti a cui chiedevo protezione, e che a loro volta invece continuavano ad aspettarsi da me un comportamento adulto e ormai consolidato.
A 16 anni ho iniziato a controllare la sola cosa che fosse rimasta tra le mie mani : il cibo.
A 16 anni ho iniziato con i digiuni.
All’inizio è iniziata semplicemente come una breve dieta dimagrante… Alta 1,58 pesavo 55 kg, e mi sembravano davvero troppi. All’inizio volevo solo (almeno ufficialmente) mandar giù 3-4 kg…
Ma portavo dentro la precisa volontà di esercitare un controllo su qualcosa, di tornare bambina, di diventare trasparente, sparire dalla vista di chi continuava ad impormi di essere forte e matura.
Volevo essere sempre più impalpabile, trasparente fino a non farmi trovare più.
E cercando, cercando… Ho iniziato a mangiare sempre meno, a sfidare la bilancia, il peso che diminuiva, il corpo che si indeboliva, i collassi che iniziavano a susseguirsi sempre più rapidamente e frequentemente, gli abiti che mi stavano sempre più grandi, il polso su cui l’orologio stava sempre più largo… Tutto quanto… Tutto divenne una sfida, un duello serrato tra me e l’alimentazione. Pasti consumati sempre più lentamente, pacchetti di crackers sminuzzati in briciole tanto piccole che si irritavano i polpastrelli, consumati in tempi record come 2 ore ! 2 ore per un pacchetto di crackers…. Pensa a quanto durasse un intero pranzo…
Così, presto iniziai ad isolarmi, a fingere malesseri per non sedermi a tavola e saltare i pasti, a nascondere pezzi interi del pranzo per gettarli via al momento opportuno… E quando ero costretta a mangiare, stavo male, mi sentivo in colpa per non aver mantenuto fede a quel patto silente fatto con la mia bilancia… Ancora una volta in colpa per non essere stata all’altezza degli standard che stavolta mi ero imposta da sola. Ma come vedi, alla base c’era sempre un senso di colpa, di inadeguatezza, di debolezza. “Risolsi” la questione iniziando a compensare quando per qualche ragione ero costretta a mangiare. Compensavo vomitando, o con digiuni spropositatamente prolungati in seguito per “recuperare” la mangiata del pranzo “incriminato”.
In sei mesi il mio peso scese drasticamente a 44 kg, poi a 42, infine a 40. Insieme alla perdita di peso, ebbe inizio il declino del mio organismo, perdevo i capelli, svenivo sempre più spesso, le mestruazioni divennero irregolari. Sentivo che qualcosa non andava bene, e ne ero inspiegabilmente soddisfatta. Non volevo star bene, volevo andar via pezzo per pezzo, volevo vedere il mio corpo sparire lentamente ma progressivamente, incessantemente. Volevo assolutamente andar via con il mio peso, selvaggiamente accanita nel mio proposito, assalita dal senso di colpa tutte le volte che mangiavo qualcosa, assalita dal senso di colpa tutte le volte che incontravo lo sguardo preoccupato di mio padre, che iniziava a rendersi conto di quello che mi accadeva. Ed ogni senso di colpa che sbocciava in me, era un digiuno in più.

Il terrore.
Lentamente iniziò anche il terrore. Il terrore per lo specchio, che mi rimandava un’immagine sempre più deforme ed insoddisfacente. Immagine deforme per l’eccessiva magrezza forse… O semplicemente perché distorta dai miei occhi.
Divenne in breve terrificante star davanti allo specchio anche solo per truccarsi. Il primo giorno di terrore, lo ricordo come se fosse oggi… Provavo degli abiti, davanti lo specchio… Ebbi come la sensazione di vedere delle parti del mio corpo allargarsi e poi restringersi… Avveniva a vista d’occhio, le cosce mi sembravano dilatate e il busto ristretto.. I mutamenti erano dinamici, li vedevo avvenire sul mio corpo e non riuscivo ad intervenire per bloccare quel processo terrificante.
Mi convinsi ancor di più di dover dimagrire ulteriormente. La cosa si ripeteva sempre più spesso. Sentivo gli occhi degli altri perennemente rivolti verso di me, perennemente fissi su quelli che a me sembravano degli insormontabili difetti fisici, e avevo come la sensazione che anche loro provassero il mio stesso ribrezzo verso il mio corpo.
Lo specchio divenne il mio nemico, la fonte di tremende angosce, di ore di terrore…
Finchè decisi di non guardarmici mai più dentro, di non truccarmi, non pettinarmi, vestirmi senza guardare, trascurarmi per essere più invisibile che potessi… Il viso sempre nascosto dai capelli e dagli occhiali scuri anche d’inverno… Abiti sempre più ampi, dei veri e propri “sacchi” con cui cercavo di camuffare quel corpo diabolico che cambiava a vista d’occhio. Solo in seguito scoprii che quello che avevo vissuto, quel terrore, quell’allucinazione angosciante, aveva uin nome specifico… Solo molto più tardi scoprii che era stata una DISMORFOFOBIA.

E nel frattempo la scuola iniziò a subire i primi colpi… La mia concentrazione era sempre minore, il rendimento calava a vista d’occhio. Terzo Liceo Scientifico. L’anno più complicato dell’intero quinquennio. L’anno del passaggio dai quadrimestri ai trimestri, della riforma scolastica in cui nessuno sapeva bene come muoversi per star dietro ai tempi più “serrati” dei trimestri… E l’ex “prima della classe” portò il primo 5 in pagella …. TRAGEDIA FAMILIARE !
Da quel giorno segregata in casa, divieto di ricevere telefonate, divieto di uscire persino al sabato sera… tessera di abbonamento al Teatro strappata in 16 pezzi che ancora oggi conservo… Perché DOVEVO recuperare i miei standard, i miei livelli di sempre. Da quel momento, fino alla fine dell’anno, non rimase altro che lo studio e i libri…. Per un 5 in una pagella con la media del 7,5 !!!
Mi gettai a capofitto nello studio, forse più per lenire i miei sensi di colpa, che per recuperare quello che avevo perduto…
Trovai inoltre la scusa per saltare altri pasti, per gettare nel cestino le merende che ogni tanto mi portava mia madre, ed attribuire il dimagrimento allo stress…
Estate di quell’anno.. Promossa a giugno con la media dell’8…E con quel 5 trasformato in 7…
Estate di quell’anno… Non so perché, ingrassai di diversi chili… Alla fine dell’estate ero vicina ai 50 kg… E mi sentivo maledettamente in colpa…
Inizio del 4 anno di Liceo.. Ripresa della mia ferrea dieta, dell’autodisciplina alimentare, delle restrizioni e delle saltuarie vomitate quando la situazione lo imponeva… Stavolta il dimagrimento fu persino più rapido e dannoso.
Di nuovo 42 kg nel giro di 3 mesi… Iniziarono i collassi.. Quelli seri, preoccupanti, pericolosi.. I collassi in autobus, a scuola, per strada.

Un pomeriggio mio padre entrò in camera mia sbattendo la porta ed urlandomi in faccia “Adesso basta, non ce la faccio più a vederti così ! Ma dove vuoi arrivare ?”

La terapia e i SENSI DI COLPA.
Meno di una settimana da quel lungo pomeriggio a parlare con mio padre, tra lacrime e singhiozzi…e ci ritrovammo tutti catapultati da una psicologa. Famiglia rimessa in discussione, ruoli stravolti, abitudini cancellate… Si, la terapia sistemico relazionale ha del geniale secondo me… Ma non per la famiglia….
Per noi ha significato covare sensi di colpa, colpevolizzazioni e rancori sopiti… Ho fatto quell’anno di terapia portandomi sempre dietro il peso che tutto quello stravolgimento fosse dipeso da me. Iniziai a desiderare di riguadagnare peso in fretta per porre fine a quello strazio settimanale il prima possibile. Iniziai a seguire la mia prima “dieta ingrassante”, e a guadagnare peso rapidamente. Iniziai a singhiozzare al mattino sulla bilancia, accanto a mio padre… Era lui a pesarmi, ogni mattina.. E quando dopo appena 4 giorni mi trovai 2 kg in più, scoppiai a piangere, dilaniata dal senso di colpa.
Senso di colpa per la tristezza che provavo dentro per essere ingrassata.
Dovevo ingrassare ma non volevo… Dovevo volerlo, ma mi rifiutavo di volerlo. Non riuscivo a gioire come mio padre per il mio peso che risaliva, e mi sentivo un’ingrata… Mi ripetevo che infondo ingrassare significava porre fine alla terapia, liberare la mia famiglia da quello strazio, che DOVEVO farlo per loro. Avrei anche voluto esserne contenta, infondo lo meritavano. Ma non ci riuscivo, e mi sentivo in colpa per tutto quell’egoismo che ancora avevo dentro malgrado i loro sacrifici. Alla fine iniziammo a disertare la terapia… che ridusse ad una sterile ed inconcludente terapia di coppia per i miei genitori, che alla fine… si separarono !

Paura di guarire
Continuai per dei mesi, per due lunghi anni a fare l’altalena … A mantenermi su un filo d’equilibrio che non fosse troppo “in su” né troppo “in giù”… Desiderando di guarire e tornare a vivere spensieratamente, e terrorizzata al tempo stesso dall’idea di abbandonare la “coperta calda” dell’anoressia, che in un certo senso mi difendeva.
Mi difendeva dai sensi di colpa, dal bisogno di DOVERE. Essere anoressica infondo significava dimostrare a tutti che io non mi davo tregua, impedir loro di rimproverarmi un eccesso di indulgenza, bloccare sul nascere ogni tipo di rimprovero o di pretesa. Significava dare a me stessa la prova concreta della mia ineccepibilità. Significava essere ferrea, impeccabile, assolutamente immune da qualsiasi senso di colpa… L’idea di venirne fuori mi terrorizzava. Venir fuori dall’anoressia, smettere di stare male, era come confessare che mi stavo dando una tregua, ammettere la mia fragilità, concedermi una piccola pausa, un’indulgenza; significava in altre parole volermi bene.
Ero rinchiusa dentro la torre dell’anoressia, e da lì mi proteggevo dalla mia stessa ferrea autodisciplina.
Compiacevo tutti : studiavo con ottimi risultati, continuavo a stare con lo stesso ragazzo da 4 anni, senza mai un incidente di percorso, ero una figlia modello, una fidanzata perfetta, persino una impeccabile “nuora”… E avevo appena 18 anni… Ed una bambina in corpo che ancora implorava di vivere, e che io continuavo a soffocare, per rispondere alle aspettative di chi si aspettava da me il massimo.
Sono rimasta chiusa nella mia torre per tantissimo tempo, proteggendomi attraverso il digiuno e la debolezza fisica.
Volevo infondo essere solamente amata per quella che ero : per quella bambina che viveva ancora dentro di me, ma che nessuno aveva voluto mai ascoltare.

Poi un giorno…
Non so come, non so perché.. Non so cosa mi sia scattato dentro… Un giorno ho conosciuto un ragazzo.
E il mio cuore è impazzito.
Era troppo forte dentro di me, allora, per potervi resistere. Non sono riuscita ad oppormi. Ho sentito il richiamo della vita che mi invitava a scendere dalla torre, ad affrontare di petto la situazione, scappare da tutto quello che mi incatenava e lanciarmi in volo attraverso la vita, spontaneamente, con immediatezza…
Tutto l’opposto del “bravo ragazzo”… Mio coetaneo, scapestrato, capelli lunghi, barba, chitarrista in un gruppo rock…
Uno di quelli che ad un padre vengono i capelli bianchi a vederlo vicino la propria figlia.
Non so perché.. Mi chiedo ancora il perché… Ma mio padre lo accettò.
Mi incoraggiò a scendere dalla torre.
Scendevo un gradino e ne risalivo tre… Non potevo, ma volevo. E alla fine, in quel momento, ho sentito che c’era qualcosa per cui valesse veramente la pena rischiare, avventurarmi nell’ignoto, con tutto il corpo e tutta l’anima..
Ci ho messo un po’ a capirlo.
Ma M. mi è rimasto vicino. Ed oggi è ancora il mio ragazzo.

Oggi
Oggi M. è un “bravo ragazzo”… Ha tagliato i capelli, ha messo via la scorza del duro, con cui mi ha protetta mentre timidamente scendevo dalla torre.
Oggi purtroppo M. vive lontano da me, ma è sempre con me. Oggi la mia vita procede in solitudine, ma con la certezza che, chi mi ha tirata fuori dalla torre, non ha smesso di essermi vicino, malgrado l’indulgenza che sto lentamente imparando a concedere a me stessa. Che chi ha mi rimesso la vita tra le mani, non è scappato.
Oggi.. procedo… Zoppico, mi rialzo, torno a camminare, poi magari t’inciampo ancora una volta… Rimango seduta per terra a piangere, ma poi alla fine mi rialzo sempre… Perché non serve fermarsi. Non ha senso non prendere la mano che ti sta tendendo qualcuno per tirarti fuori dal pantano.

Domani…
Domani… Non so nulla del mio domani, ma ho tanti desideri e tanti progetti per il mio domani.
Vorrei col tempo di imparare a non sentire la mia vita come un “debito” verso M. : ancora oggi mi crea un certo disagio pensare di smettere di considerarmi in debito con lui.
Domani vorrei alzarmi e scoprire di non sentire più tutto questo come un debito, bensì come una conquista di entrambi, una mia conquista, un mio risultato, la mia vita e null’altro che quello. Domani vorrei essere io la conquista del mio cammino, libera dal senso del dovere verso qualcuno, libera di vivere il mio amore incondizionatamente, senza prezzi di ricambio…
Domani vorrei che tutte le persone come me, come te, come chiunque abbia sofferto o soffra di Anoressia Nervosa, potessero imparare ad affrontare la vita sfidandola, con coraggio, con semplicità. Concedendosi di essere se stessi, con le debolezze, con gli errori, gli incidenti… Che imparassimo a fermarci un attimo, un giorno, e dire a noi stessi “Questo è mio, e me lo prendo, tutto per me, senza sensi di colpa”… Come se fosse un cono gelato da gustare, pensando “Chi se ne frega se è il terzo di oggi ? “…

Domani, quando lo specchio ti darà l’ennesimo dolore, strizzagli l’occhio, puniscilo così, dimostragli che la vita può essere più forte di tutti i sensi di colpa del mondo.
Sii forte e caparbia, insisti perché la tua vita possa battere dentro il tuo petto, ripeti a te stessa che sei una bella persona, che sei persino migliore di quanto gli altri non si aspettassero da te. Ripeti a te stessa un piccolo mantra, un ritornello tutto tuo, che serva solo a ricordarti che esiste nella vita l’Amore, anche e soprattutto verso se stessi.
Che Amare te stessa è il primo dei doveri che hai, il primo dei diritti, che nessuno potrà mai strapparti, e che tu stessa devi lottare per concedertelo. Anche se fa male, anche se sembra impossibile, anche se non credi che potrai mai riuscirci… E se non riesci da sola, allora chiedi aiuto ! Ma non aspettare che arrivi dal cielo qualcuno a tirarti fuori dalla torre.
Io ho avuto fortuna.
Ma oggi ne porto dietro il segno del debito.
Non fermarti mai, chiedi aiuto, regalati un sorriso, ammetti a te stessa la tua umanità, senza sensi di colpa…

“SENZA SENSI DI COLPA”
E’ questo il messaggio che vorrei far passare a chi, come te, sta leggendo la mia storia.
A volte non ci rendiamo nemmeno conto di quanto forti siano, di come siano loro a scandire le tappe, a segnare i nostri stati d’animo, a condizionare il benessere con pensieri ed azioni.
A volte è persino più difficile andare a scovare la loro origine. Capire chi ti abbia insegnato la dinamica della colpa, perché, attraverso quali sistemi..
Quasi sempre, è nell’educazione ricevuta che bisogna andare a cercare.
Ma ciò che conta, è imparare a darsi tregua…
Senza per questo sentirsi colpevoli.

S.C.
 
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baby_93
view post Posted on 6/5/2006, 14:25




:.:sigh:.: :.:Uhee!:.: :cry: ...stupenda!!

Devo assolutamente farla leggere a 1 mia amica che fa danza e ha paura di diventare anoressica...
 
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G.D.L.
view post Posted on 12/6/2006, 10:59




Penso che il fatto che la tua amica abbia paura di diventare anoressiaca sia già un fatto positivo... Le persone anoressiche sono sicure di avere il controllo di loro stesse...sicure di controllare il loro corpo... Se la tua amica "ha paura" voul dire che stà facendo attenzione ed è coscente dei rischi... Questo è quello che sento io... io non ho mai avuto paura di perdere il controllo...
 
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Chiara21
view post Posted on 9/12/2014, 19:35




Leggere le parole di chi ha sofferto di anoressia nervosa o ne soffre, ma sta riuscendo ad analizzare la propria situazione e la propria situazione familiare, è l'unico modo per capire veramente cosa sia questo disturbo. Leggendo alcune storie di questo tipo, mi sembra che l'elemento costante sia proprio il rapporto con la famiglia, rapporti familiari che in un modo o nell'altro (estrema possessività o eccessivo senso del dovere ed aspettative e altro ancora ) non lasciano la LIBERTA' di diventare se stessi, di crescere, di amarsi e amare, cose che sono l'essenza della vita....chi ne soffre va verso la morte (dell' "anima", della psiche e del corspo) perchè si nega queste cose (ed il cibo) e tutto ciò perchè non gli sono stati dati gli strumenti per accogliere questi aspetti della vita ed accettarli senza sensi di colpa. Un'altra costante mi sembra invece l'intelligenza, la sensibilità e l'enorme volontà di chi reagisce a certe situazioni con un disturbo alimentare (perchè è sempre una reazione a qualcosa, non è una cosa con cui nasci, come nascere con gli occhi verdi o marroni). Senza intelligenza e sensibilità non si assorbirebbero tutte le questioni familiari, i difetti e le dobolezze della famiglia (o figure educative di riferimento in generale); senza volontà ferrea ed enorme non si elaborerebbe come risposta un disturbo del comportamento alimentare per il quale il controllo e l'impegno sono costanti e centrali: dire a chi non riesce a venir fuori da un disturbo del comportamento alimentare "Tu non smetti perchè non hai volontà!" è la cosa più stupida e sbagliata di questo mondo e serve solo a far capire alla persona che...non si è capito un tubo e che si è distanti mille miglia dalla questione!
Non voglio colpevolizzare le famiglie di chi elabora un DCA, perchè anche gli adulti e chi è genitore ha una propria vita passata e presente, debolezze, fragilità non risolte e alle quali ha risposto come ha potuto e la mia è una riflessione aperta a cambiamenti, non è conclusa...ma secondo me il ruolo della famiglia è centrale in tanti tipi di disturbi. Secondo me, quindi, a fare un grosso lavoro psicologico dovrebbe essere anche la famiglia.

Ciao da Chiara, futura Educatrice Professionale!
 
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3 replies since 6/5/2006, 14:09   5194 views
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